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Uso del biglietto da visita personale
Per quanto in rarefazione, l’uso del biglietto da visita personale, l’antico “biglietto da tasca”, resta gradita forma presso molte culture. Sebbene la sua utilità abbia alcune analogie col biglietto professionale (erede del vecchio “biglietto reclamistico”), la fornitura dei propri recapiti per mezzo di quello personale ha il profondo significato di indicare il personale piacere dell’eventuale presentazione o del futuro contatto, non già l’interesse economico.
Il galateo corrente sino alla prima metà del Novecento ne ha codificato l’uso in forme alquanto rigorose. Per questo, il biglietto personale è rigorosamente piccolo, in cartoncino Bristol di colore esclusivamente bianco e riporta al centro (in caratteri del corsivo inglese) nome e cognome eventualmente preceduti dal titolo (per la donna maritata nome, cognome del marito, cognome suo, nessun titolo); sino ai primi del Novecento era considerato poco elegante fregiarsi di titoli professionali.
I titoli stampati sul biglietto non vanno, come invece spesso accade di vedere, cancellati mai: all’intento di sincera modestia (“non ci tengo”, che già ci fa chiedere allora perché vi siano i titoli), si sostituisce in itinere una deprecabile apparenza di paterno avvicinamento discendente (“sono tale, ma a te che non lo sei non voglio farlo pesare”). Inoltre, l’unica eccezione ammessa rende di cattivo auspicio questa pratica: sebbene sia molto in uso il telegramma (e forse presto lo sarà anche la e-mail), l’invio di condoglianze su un biglietto da visita resta la forma classica da preferire. In questo caso si può alternativamente sbarrare l’angolo in alto a sinistra oppure l’intera intestazione, nello stesso verso diagonale (e scrivendo sul retro un asciutto, sobrio messaggio di partecipazione al lutto).
Entrando in una casa o in qualsiasi occasione si venga ricevuti da persona diversa da quella da cui si è attesi, si affiderà un proprio biglietto (professionale se la visita è di lavoro) a chi apre, perché lo porti all’interessato (il quale, anche se lo si conosca con familiarità, non lo renderà mai, visto che restituire un biglietto costituisce sempre offesa grave, pari al rifiuto di detenere alcunché del titolare, nemmeno il nome).
Obbligatoriamente, un mazzo di fiori deve essere accompagnato dal biglietto (imbustato e possibilmente chiuso con uno spillo); laddove si tratti di donna che abbia perduto con rimpianto il nubilato, non volendo farle perdere anche la tranquillità, si eviteranno direttamente i fiori, che non possono giungere anonimi né sotto travisata identità, ma sempre appunto col sigillo del biglietto.
Per alcune occorrenze (risposta ad auguri e condoglianze) è molto apprezzato il biglietto unico dei coniugi, in cui il nome del marito precede quello della moglie ed il solo cognome di lui, anche senza recapiti (essendo di risposta). Naturalmente, le innovazioni rispetto alla forma classica necessitano di valide ragioni per poter suscitare calorosa accoglienza presso i destinatari della cartouche; l’uso di caratteri moderni, di foto o di altre fantasiosità resta in buona misura deprecato. Un “rispettoso” biglietto personale esce da un apposito portabiglietti, non direttamente dalla pochette al modo degli arbitri di calcio; l’accessorio, in genere in argento o in tartaruga per gli uomini (mentre le donne ne usano solo uno da tavolo) consentirà un migliore stato di conservazione del biglietto, che non deve essere profumato, né gualcito, né ovviamente macchiato.
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