Nei giorni scorsi il 66enne Antonio Stano, di Manduria, è deceduto in quanto vittima di una baby-gang. Due 16enni e quattro 17enni, oltre a due maggiorenni, sono finiti in carcere in quanto accusati di tortura, sequestro di persona, danneggiamento e violazione di domicilio. I giovani, secondo gli investigatori, durante gli assalti nell’abitazione della vittima e per strada si sarebbero ripresi con i telefonini mentre sottoponevano la vittima a violenze con calci, pugni e persino bastoni, per poi diffondere i video nelle chat di Whatsapp. La baby-gang avrebbe, pertanto, posto in essere in più tempi e costantemente tutta una serie di comportamenti aggressivi, fisici e psicologici, nei confronti di un soggetto non in grado di difendersi. Da un punto di vista sociologico tali comportamenti non sono altro che atti di bullismo, in questo caso non nei confronti di un compagno di classe adolescente bensì nei confronti di una persona matura di ben 66 anni. Ed uccidere, da parte di minori, senza sensi di colpa, una persona, in tal caso adulta, è socialmente di una gravità inaudita. I bulli hanno un’alta opinione di sé, combinata a narcisismo e manie di grandezza, e spesso usano l’aggressività per emergere nel gruppo. Dobbiamo, pertanto, fermarci un attimo e chiedere alla nostra coscienza, guardandoci in faccia l’un l’altro, dove stiamo andando a finire come esseri umani? Ma è possibile prevenire tale fenomeno? Certamente sì, ed ancora una volta il ruolo educativo di genitori, insegnanti, parrocchie, associazioni culturali e sportive, assieme ed a titolo preventivo, può fare la differenza! Siamo, pertanto, tutti socialmente responsabili di tali atti, qualora non comprendiamo di dover svolgere direttamente tale ruolo, in relazione alle competenze e responsabilità di ognuno, senza delegarlo agli altri. Aldo Vangi.