Alle associazioni che non possedevano uno statuto in regola con quanto richiesto dall’art. 5 del dlgs n. 460/97 si applicava la normativa generale prevista per gli enti non commerciali. Adesso, come già detto, si ritiene che sia applicabile solo se in regola.
La riassumiamo nei seguenti 3 punti:
1) Per le associazioni, in particolare, l’art. 111 del DPR n. 917/86 precisa che “Non è considerata attività commerciale l’attività svolta nei confronti degli associati o partecipanti, in conformità alle finalità istituzionali dalle associazioni, dai consorzi e dagli altri enti non commerciali di tipo associativo. Le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi non concorrono a formare il reddito complessivo”.
Quindi quote associative e liberi contributi non sono fiscalmente rilevanti. Anche l’attività svolta nei riguardi degli associati non è commerciale, sempre che sia compresa nella quota sociale versata inizialmente. Il versamento invece, a fronte di tale attività, di ulteriori corrispettivi o contributi (come precisato dal comma 2), è considerata attività commerciale.
L’art. 108 del DPR n. 917/86 stabilisce che “(….) non si considerano attività commerciali le prestazioni di servizi non rientranti nell’art. 2195 c.c. (attività di produzione di beni o servizi, di trasporto, di commercio e intermediazione nella circolazione dei beni, bancarie o assicurative, attività ausiliare alle precedenti) rese in conformità alle finalità istituzionali dell’ente senza specifica organizzazione e verso pagamento di corrispettivi che non eccedano i costi di diretta imputazione“.
Questa norma, a detta degli stessi esperti, pone in pratica notevoli problematiche interpretative. In pratica per non conseguire proventi fiscalmente rilevanti si devono svolgere attività specifiche dell’ambito associativo (ad. es. corsi di cicloturismo, ecc.), per soci o non soci non importa, facendo pagare solo i costi diretti (non quelli generali organizzativi). Si lavora pertanto, in genere, in perdita.
Per l’art. 108, perchè un’attività sia considerata non commerciale devono sussistere le seguenti condizioni:
1 – Non rientrare tra quelle dell’art. 2195 c.c., articolo che elenca una serie di attività tipicamente di impresa.
2 – Essere esercitata in conformità delle finalità istituzionali dell’ente. Si pone comunque il problema di attività che, anche se previste dallo statuto, vengono svolte in via sussidiaria per procurare i mezzi per il raggiungimento degli scopi sociali. Le interpretazioni escludono che possano considerarsi istituzionali, configurandosi chiaramente come attività di tipo commerciale.
3 – Mancanza di specifica organizzazione. Un’interpretazione è quella che se l’ente ha proprio personale dipendente specializzato, preposto all’attività in questione, questa è da considerarsi commerciale. Se invece ha una segreteria che si occupa di tutti i compiti istituzionali e, volta per volta, anche dell’organizzazione di tali attività, questa può considerarsi non commerciale.
4 – Corrispettivi che non eccedano i costi di diretta imputazione. Il prezzo deve coprire soltanto le spese sostenute e non inglobare una quota di utile. Diretta imputazione significa che nelle spese sostenute non si possono inserire nemmeno quote di spese generali – di indiretta imputazione -. Si è osservato che è assai problematico, se non impossibile, fissare preventivamente un prezzo che copra questi costi senza subire perdite o conseguire utili.
3) L’art. 2 del dlgs n. 460/97 ha aggiunto all’articolo 108 del DPR n. 917/86 il comma 2-bis, riguardante occasionali raccolte pubbliche di fondi e contributi per lo svolgimento convenzionato di attività:
“Non concorrono in ogni caso alla formazione del reddito degli enti non commerciali (…)”:
“a) i fondi pervenuti ai predetti enti a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente, anche mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori, in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione”.
La legge conferma l’esclusione dell’assoggettabilità di tali fondi all’IVA e a qualsiasi altro tributo e precisa che il Ministro delle finanze può con decreto stabilire condizioni e limiti all’esercizio di tali attività. A tale riguardo rileva anche l’art. 8 del dlgs n. 460/97 che specifica: “Indipendentemente alla redazione del rendiconto annuale economico e finanziario, gli enti non commerciali che effettuano raccolte pubbliche di fondi devono redigere, entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio, un apposito e separato rendiconto tenuto e conservato ai sensi dell’articolo 22, dal quale devono risultare, anche a mezzo di una relazione illustrativa, in modo chiaro e trasparente, le entrate e le spese relative a ciascuna delle celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione (…)”. Questi rendiconti devono essere tenuti su registri vidimati.
“b) i contributi corrisposti da amministrazioni pubbliche ai predetti enti per lo svolgimento convenzionato o in regime di accreditamento (….) di attività aventi finalità sociali esercitate in conformità ai fini istituzionali degli enti stessi.”.
Caso 2: Normativa per gli Enti di tipo associativo
Alle associazioni che possiedono uno statuto in regola con quanto richiesto dall’art. 5 del dlgs n. 460/97, oltre a quelle viste al caso 1, si applicano le seguenti normative.
Il terzo comma dell’art. 111/917, come modificato dall’art 5 del dlgs n. 460/97, che dispone una particolare disciplina, autonoma e specifica: “Per le associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona non si considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli associati o partecipanti, di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali, nonché le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati.”
Si allarga quindi, in presenza di determinati requisiti, la casistica delle attività non commerciali, ben oltre a quella prevista in generale per gli enti non commerciali (potendosi comprendere anche attività elencate nell’art. 2195 c.c. o altre organizzate in forma di impresa).
Un’associazione quindi, senza che sorgano obblighi fiscali, può cedere beni e svolgere servizi a pagamento, ma:
1) in conformità alle proprie finalità istituzionali (si veda quindi lo statuto).
2) ai propri soci, associazioni collegate o loro soci. Quindi, nel nostro caso, l’agevolazione fiscale è valida anche per quelli di altri gruppi FIAB.
Le proprie pubblicazioni (nel nostro caso libri, riviste, opuscoli edite dal gruppo locale o dalla FIAB), cedute prevalentemente agli associati, possono invece essere vendute anche a terzi (cioè non soci) senza incorrere in obblighi fiscali.
Al quarto comma, l’art. 111/917 elenca alcune attività per le quali non si applica il comma 3 e che, quindi, sono sempre considerate commerciali (anche se effettuate verso i soci):
– le cessioni di beni nuovi prodotti per la vendita;
– le somministrazioni di pasti;
– le erogazioni di acqua, gas, energia elettrica e vapore;
– le prestazioni alberghiere, di alloggio, di trasporto e di deposito;
– le prestazioni di servizi portuali e aeroportuali;
– le prestazioni effettuate nell’esercizio delle seguenti attività: a) gestione di spacci aziendali o di mense; b) organizzazione di viaggi e soggiorni turistici; c) gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale; d) pubblicità commerciale; e) telecomunicazioni e radiodiffusione circolari.
Per quello che riguarda in particolare l’organizzazione di “viaggi e soggiorni turistici” nei riguardi dei soci, questa non si considera attività commerciale ai fini delle imposte sul reddito (mentre tale resta per l’IVA) per le associazioni di promozione sociale riconosciute dal ministero. Pertanto se l’associazione fosse affiliata ad una di queste ed in regola con i requisiti statutari per gli enti associativi, potrebbe essere soggetta solo al pagamento dell’IVA.